di Pietro Commisso
Una leggenda metropolitana (di Provincia) della “Monfalcone – Far West”
Nasco come appassionato di storia militare della Grande Guerra, un argomento che ho considerato per anni nevralgico per delineare e comprendere molti caratteri fondamentali della Comunità cui appartengo.
Questo anche prima di iniziare a capirci qualcosa.
Il Territorio della Bisiacaria, come quelli limitrofi, è tuttora segnato dalle tracce di quell’immane tragedia, tanto che non occorre allontanarsi dal sentiero segnato per accorgersi di fenditure nel terreno di indubbia natura antropica e indiscutibilmente bellica. I paesi ne censiscono ancora molte, sia in pianura che nell’altopiano: maledette e bramate un tempo, trascurate e imbonite alla meglio poi, furono per decenni mete di curiosi, spesso mal giudicati dall’opinione pubblica del borgo limitrofo. Sonai, questo il giudizio perentorio. A volte lo erano, molto spesso no.
Infine, furono “scoperte “dagli esperti di turno: appena in tempo per il centenario della loro costruzione. Centenario che nel bombardamento a tappeto di pubblicazioni, conferenze, simposi, festival, manifestazioni è stato – spesso – incapace di spiegare.
A leggiucchiare, inoltrandosi nell’argomento Grande Guerra, ci si accorge che è impossibile evitare termini geomorfologici: doline, grotte. Poi, grotte riadattate, ampliate, o costruite ex novo coi denti delle perforatrici o il potere dirompente dell’esplosivo. La guerra necessitava di prontezza ed efficienza di tipo militare, non poteva certo aspettare le ere geologiche necessarie alle gocce d’acqua per sciogliere la roccia.
La tecnologia del ‘900, tutta, riportò gli uomini in divisa a vivere nelle caverne. Novella Preistoria. Di nuovo.
Barbaria Antica recitava una stele commovente e carica di retorica e ciò a cui alludeva non era dissimile all’argomento in oggetto.
Ma le Barbarie non sono anche molti valori umani primigeni?