di Sonia Kucler
A Gorizia c’è un’interessante area rurale che si è preservata nel tempo grazie alla sua marginalità con valore paesaggistico, culturale e ambientale – dove il paesaggio rurale è composito ed i gelsi storici sono un elemento caratterizzante da preservare e incentivare – dove agire affinché questo schema tradizionale non si frantumi – dove è utile potenziare le siepi e gli impollinatori – dove la biodiversità coltivata è speranza per il futuro alimentare – dove il proprietario, l’agricoltore sono i veri custodi del territorio.
Il paesaggio rurale del Goriziano è il risultato del contrasto tra la prevalenza vitivinicola del Collio, la produzione cerealicola di pianura legata all’Isonzo e la tradizione agro-silvo-pastorale del Carso, unito da un forte legame storico e ambientale con il fiume e la sua natura di terra di confine.
A questa nota ripartizione sfuggono alcune aree rurali periurbane, che per decenni sono rimaste marginali perché divise dal confine del 1947 tra Italia e Yugoslavia ed hanno modificato solo parzialmente le forme e le componenti del loro mosaico agricolo, mantenendo campi aperti e chiusi, colture promiscue e modalità di coltivazione più tradizionali mentre l’agricoltura intensiva e il consistente impiego di prodotti chimici semplificava e modificava l’ambiente della campagna isontina e friulana. Si è cominciato perciò a ragionare sul valore ambientale, ecologico ed economico che un paesaggio rurale può esprimere. Il Piano Paesaggistico Regionale (1) evidenzia che il paesaggio rurale costituisce la matrice culturale profonda di gran parte del territorio regionale e che ha nei secoli costituito e sviluppato quella che è a tutti gli effetti una vera e propria civiltà che ha fortemente connotato e che connota ancora il paesaggio regionale.
Mentre nel paesaggio dei Colli orientali del Friuli e del Collio la matrice agricola dominante è la coltura della vite, le aree agricole del Contado goriziano, dalle sponde dell’Isonzo fino alla valle del Vipacco, hanno una matrice prevalente orticolo-frutticola sebbene la vite, le colture erbacee ed i prati da foraggio facciano parte del mosaico rurale storico. Tratti salienti e distintivi sono le siepi arbustive e arboree tra i campi, una limitata rete di strade al servizio delle attività agricole, produzioni di nicchia radicate nella tradizione di una civiltà contadina ormai millenaria, multietnica e multilingue.
Sono tre le aree rurali marginali presenti nella conurbazione Gorizia/Nova Gorica/Šempeter-Vrtojba, comprese le rispettive aree artigianali, commerciali e industriali: quella a nord tra la via Montesanto ed il confine di Salcano, l’area rurale meridionale da Sant’Andrea fino a Savogna, quella che si allunga a est da via Terza armata al fiume Vipacco.
L’area rurale paesaggisticamente più suggestiva e meno frammentata è sicuramente la prima, perché si avvicina all’idea déjà vu che tutti noi abbiamo istintivamente quando si parla di “paesaggio rurale”, di un luogo dove la cultura si identifica con il territorio, legato a tradizioni e saperi antichi che vengono tramandati di generazione in generazione e dove si custodiscono pratiche agricole e conoscenze tradizionali che necessitano di essere salvaguardate. Qui c’è da secoli una comunità slovena con caratteristiche originali e molto radicate, sia linguistiche che culturali, che ha condiviso l’uso della terra con le comunità friulane presenti su ambedue le sponde dell’Isonzo, di cui conosceva e usava la lingua. Numerosi gli elementi che hanno modellato nel tempo strato su strato il suo paesaggio, sopravvivenze storiche come gli alberi di gelso, ancora oggi presenti ai bordi delle strade e dei viottoli, nei campi. Altre come le “viti maritate” sono invece quasi totalmente scomparse mentre rimangono salde la cura e la lavorazione speciale riservata ai radicchi che diventano la pregiata “rosa di Gorizia” (alias radicchio rosso) e lo storico “radicio canarin” o la preparazione dei crauti e della brovada nelle case e nei laboratori artigianali del luogo come nei tempi passati. L’agricoltura meccanizzata e la chimica ci sono, ovviamente, ma non hanno finora prodotto la semplificazione del paesaggio ormai consolidata nei dintorni fintanto che la civiltà contadina resiste.
Osservare quest’area marginale dall’alto, la chiesa di San Mauro sul fianco del Sabotino è un punto ideale, può aiutarci a inquadrare meglio sia i suoi aspetti fisici e geografici sia quelli paesaggistici. La veduta sulla conca di Gorizia è veramente spettacolare, i colli si rincorrono morbidi e lussureggianti ad altezze diverse, l’alta pianura tagliata in profondità dall’Isonzo è dominata dagli edifici urbani che immersi nel verde di parchi e giardini non tolgono morbidezza allo skyline tranne che a Nova Gorica dove si è scelto il costruito verticale. A lato troneggiano ripide le alture del Sabotino, del Monte Santo e del San Gabriele, più a est l’altipiano della Bainsizza.
L’area rurale di Montesanto si fa notare subito, un angolo armonico disteso sulla riva sinistra dell’Isonzo che qui esce dalle gole montane ed entra nell’alta pianura con sponde alte e ripide. La sponda sinistra è un terrazzo alluvionale di origine tardo-pleistocenica scavato nel tempo dalle acque torrentizie del fiume, posto a circa 90 metri sul livello del mare e per raggiungere l’Isonzo sottostante c’è un salto di quota di circa 40 metri, quasi verticale. Il terrazzo è caratterizzato da suoli molto ghiaiosi e drenati, grossolani, per cui l’approfondimento radicale delle colture è limitato, tra i 25 e i 50 centimetri, con un sottosuolo composto da sedimenti e alluvioni che in lontane epoche geologiche fiumi e ghiacciai hanno accumulato. Terreni molto permeabili, adatti all’orticoltura e alla viticoltura (2). Sull’orlo del terrazzo e lungo la sponda dell’Isonzo, a chiudere quest’angolo rurale ed a potenziarne il valore, si sviluppa un’estesa fascia boscata naturale, corridoio ecologico soggetto a tutela, dove l’aspetto saliente della vegetazione fluviale è il bosco di forra, un ambiente ricco di specie vegetali (una ventina di autoctone, tra salici, ontani, pioppi, querce, tigli, olmi, carpini e frassini) e animali (tra cui volpi, caprioli, tassi, cinghiali, lepri) dove si celano suggestivi habitat, come sorgenti temporanee, rupi con ciclamini e capelvenere. Comprensibile che quest’area di campagna, centoquaranta ettari di suolo pianeggiante, sia usuale meta di passeggiate a piedi e in bicicletta di chi vuole svagarsi senza allontanarsi troppo da casa.
Il passato
Delimitata da via dei Campi a sud, via del Monte Santo a est, l’Isonzo a ovest, il confine con la Slovenia a nord-est, l’area rurale era denominata Levada/Na Livadi nella sua parte a sud (appartenente alla Comune di Gorizia) mentre quella verso nord era Campi di Salcano/Solkansko polje (3) poichè rientrava nella Comune di Salcano. Ricorrendo alle mappe catastali del 1822 ed agli elaborati d’estimo che testimoniavano i sopralluoghi avvenuti per misurare e rettificare le proprietà esistenti in tutto il Contado (figura 3) riusciamo a ricostruire come si presentava la Levada/campi di Salcano due secoli fa: suddivisa in un fitto mosaico di campi chiusi di dimensioni limitate bordati da siepi, boschetti e da filari di vigna o di gelso, che segnavano anche la viabilità campestre ed i confini di proprietà, aveva nelle colture promiscue con seminativi e cereali, gli orti di verze, rape e radicchi, i frutteti (ciliegi, susini, peschi, albicocchi), la vite i suoi punti di forza. Non c’erano case contadine tra i campi, i proprietari per lo più abitavano lungo l’arteria che portava in Carinzia (via Montesanto) o nelle vie adiacenti (Orzoni, del Brolo, dei Campi e della Levada). La principale direttrice nord-sud era la via degli Scogli (dal toponimo “sotto i kretti” come riporta la mappa) mentre quella est-ovest (l’attuale via Etna) segnava il confine tra la Comune di Gorizia e quella di Salcano, il “pomerio” di cui restano alcuni cippi in pietra (4).

Figura 3. ASGo, Catasti secc. XIX-XX, mappe, Gorizia, m. n. 1301, anno 1822. In mappa il tracciato da “Mirkel” a “Sotto i Kretti” corrisponde all’attuale via Etna.
Le mappe del Catasto dei secc. XIX-XX (detto anche “franceschino”), conservate all’Archivio di Stato di Gorizia, sono il frutto di un lavoro, avviato su impulso dell’imperatore Francesco I d’Austria, che prevedeva la misurazione e la revisione delle proprietà, attraverso sopralluoghi sul territorio di ogni comune.
Oggi
A seguito della definizione dei confini tra Italia e Yugoslavia successiva alla fine della seconda guerra mondiale, divenne l’angolo più a nord della città di Gorizia, isolato in un cul-de-sac poco attrattivo per gli appetiti urbanistici della città in espansione degli anni ‘60 /‘80 del XX secolo e, nonostante la costruzione di un’area artigianale contenuta a ridosso del confine sommata alla presenza delle “Casermette” (5) ormai fatiscenti, è sfuggito fortunosamente ad ulteriori consumi di suolo. A est si staglia la quinta costruita che connette l’area agricola a Solkan e a Nova Gorica, dove i nuclei abitativi si sommano alle aree industriali (fonderia Livarna) ed alla nuova area artigianale in espansione ed allo snodo della ferrovia Transalpina.
Per queste concomitanze politico-urbanistiche l’area mantiene tuttora la sua connotazione agricola, è poco abitata, con diffusi vigneti e recenti oliveti, orti di pregio dove viene prodotta la remunerativa “rosa di Gorizia/radicchio Canarin”, campi a cereali, molti incolti, alcuni prati stabili, mentre i frutteti e le siepi boscate seppur ridotte segnano ancora i limiti di molte piccole proprietà come pure la presenza dei gelsi, caratteristici simboli del paesaggio agrario anche in questa contrada dal passato austro-ungarico.
Sopravvivenze – Gelso/Morar/Murva
I viottoli campestri sono stati da tempo asfaltati ed è proprio sul limitare della carreggiata che incontriamo gli elementi più significativi di questo paesaggio ricco di tracce storiche: i gelsi, memoria sia delle fabbriche della seta presenti a Gorizia e nel circondario sia pianta utilizzata come albero di confine nelle proprietà rurali, le cui inconfondibili e strane architetture dominano il paesaggio. Gelsi con funzione di segna confine che ci viene ricordata dagli atti dei tribunali che ricorrevano, e talvolta anche oggi, nelle dispute tra proprietari proprio alla posizione dell’albero di gelso. La presenza del gelso è ubiquitaria anche se sporadica, sopravvivono esemplari secolari a ricordo dei filari che costeggiavano su ambo i lati le strade che attraversavano la campagna – in particolare lungo la via Cappellaris ed Etna – ma ne sopravvivono anche isolati o a gruppetti dentro le proprietà o ai bordi delle stradine interpoderali. Quelli sommariamente rintracciabili sono un centinaio, con circonferenze che superano i tre e i quattro metri quindi sicuramente secolari e che potrebbero rientrare per dimensione nell’elenco regionale degli alberi monumentali tutelati (a Gorizia ci sono attualmente solo due gelsi monumentali: a San Rocco ed in via Brass). Una scelta che potrebbe portare ricadute anche sul piano turistico.

Gelso storico.
Lavori in corso del Consorzio di Bonifica
lungo la via degli Scogli (2021)
(S. Kucler)
Morar/murva/gelso, in prevalenza Morus alba perché più appetiti dai bachi ma anche Morus nigra. Nodosi, corrugati dagli anni, a volte aperti a mostrare il ventre cavo, potati a “testa di salice” che rendeva il tronco, con l’addomesticamento dei primi fusti, un cilindro panciuto e corto da cui si dipartivano i rami a raggiera. Testimoni maestosi di un paesaggio rurale che sta svanendo. L’impronta déjà vu la danno anche i pochi prati stabili rimasti, i filari di vecchie viti con i contrappesi cilindrici in cemento a fine filare ed alcuni “vite maritate” a una dozzina di alberi di melo. Sono proprio questi i tratti ricorrenti, come ci dicono gli studiosi degli assetti agrari e del paesaggio (6), «che ancora oggi possono essere definiti strutturanti il territorio» perché hanno valore nella fisionomia del paesaggio rurale, riconoscibili e apprezzabili non solo dal cittadino-turista-viandante ma anche dalla legislazione nei piani paesaggistici e rurali.
Un’impronta che non è solo materiale ma s’incrocia con la storia, l’economia e la cultura dei luoghi visto che il gelso deve la persistenza nel nostro paesaggio sia alle ragioni economiche che ne determinarono l’introduzione – le foglie e le gemme appetite dal Bombyx mori, una specie di falena che è alla base del lungo processo di allevamento dei bachi che consentirono e consentono tuttora la produzione della seta – sia alla sua longevità e adattabilità perché contrariamente ad altri fruttiferi ha dimostrato una capacità non comune di tollerare le drastiche potature, le modifiche della crescita dei suoi fusti ed il nostro clima.
Oggi ci ritroviamo un capitale in suolo coltivato e non coltivato che sta incastonato come un’isola felice tra l’Isonzo e gli abitati italiani e sloveni. Una piacevole geometria di colori che nelle diverse stagioni attira lo sguardo di chi si gode il panorama dalle pendici del Sabotino. Da lassù si capisce forse meglio, anche emozionalmente, cos’è il suolo e come esso contribuisca a creare un paesaggio coerente, cosa significa lasciare che un’area rurale si conservi, salvaguardata dal cemento e dall’agricoltura intensiva.
Se il valore paesaggistico è innegabile quale potrebbe essere quello economico?
Attualmente c’è una discreta letteratura sui criteri utilizzati per arrivare alla stima economica di un luogo attrattivo. Il professor Francesco Marangon, economista dell’Università di Udine, ha trattato il problema sia nel PPR regionale, svolto ricerche sugli ambiti del Collio e pubblicato numerosi iscritti e a lui rimando per un approfondimento.
A mio parere, come premessa alla valutazione monetaria, dovrebbe esserci prima una riflessione sul valore del capitale naturale che quest’area esprime e rappresenta, ossia il suo valore ambientale ed ecologico.
Il valore ambientale ed ecologico
Nel complesso quest’area rurale non esprime un’elevata biodiversità a causa della semplificazione degli ecosistemi che la pressione esercitata dal settore primario nel tempo ha prodotto e produce. Comunque, rispetto ad altre aree a preminente vocazione agricola, le formazioni vegetali presenti sono caratterizzate anche da prati stabili, prati incolti, boschi, filari, siepi, altane di sassi raccolti nel tempo per liberare i campi dallo scheletro grossolano, dove sono cresciuti spontaneamente arbusti e alberi di robinia, gelso, noce, carpino che hanno sia un valore nella fisionomia del paesaggio rurale sia un valore nel migliorare la biodiversità perché rappresentano un piccolo patrimonio di piante e fauna selvatiche. Un aiuto può arrivare anche dalla biodiversità coltivata, dalle colture promiscue presenti fintanto che la specializzazione non prenderà il sopravvento, sono aumentati gli oliveti ed i vigneti che se coltivati con l’inerbimento tra i filari e lo sfalcio come alternativa al diserbo chimico aiutano sicuramente gli impollinatori. Quest’area rurale è complessivamente un Giano bifronte perché se da una parte essa gode di una pregevole posizione geografica grazie alla vicinanza dell‘Isonzo con i suoi boschi ripari ricchi di biodiversità sia degli ambienti naturali presenti sui monti vicini, in particolare il Sabotino, dall‘altra parte il valore ambientale è stato compromesso negli ultimi quarant’anni dall’utilizzazione dei suoli agricoli per realizzare aree artigianali sia in Italia che in Slovenia con la scomparsa di buona parte dei “campi di Salcano” e dove si è insediata la fonderia Livarna Gorica (7) che produce annualmente 12.000 tonnellate di componenti di ghisa con un impatto negativo, ormai storico e segnato da alterne polemiche e soluzioni, sulla qualità dell’aria transfrontaliera e della vita della popolazione italiana e slovena. Nel contempo le trasformazioni del territorio avanzano per diversi fattori evolutivi e necessari: innovazioni e migliorie delle produzioni agricole come la costruzione del nuovo impianto per l’irrigazione goccia a goccia terminato nel 2021 da parte del Consorzio di Bonifica della Venezia Giulia, le cui condotte avevano inizialmente messo a repentaglio alcuni esemplari di gelsi lungo le arterie interessate dagli scavi ed innescato un rinnovato interesse per il valore storico delle piante da parte di cittadini ed associazioni ambientaliste. Infine la costruzione della passerella ciclabile sull’Isonzo e delle piste ciclabili che hanno collegato l’area rurale in Italia al versante del Sabotino in Slovenia, promossa dal GECT per il rilancio turistico del territorio transfrontaliero. Che relazione tra questi lavori edili e la biodiversità?L’apertura di nuove strade, gli scavi con il movimento terra sono realmente in grado di produrre danni alla biodiversità perché favoriscono la crescita di specie erbacee e arbustive invasive come l’erigeron (Erigeron annuus) , l’ailanto (Ailanthus altissima), il sorgo selvatico (Sorghum halepense) ed altre ancora che crescono sulle aree rimaneggiate e nude contrastando le specie locali più lente nel riprendere lo sviluppo. Passeggiando lungo le ciclabili e le strade principali, all’interno dei campi e delle vigne si nota la presenza diffusa di queste piante invasive. Questo è un problema globale tant’è che il recente “Regolamento sul ripristino della natura” della UE 2024/1991 ha come obiettivo entro il 2030 il reintegro almeno del 30% degli ecosistemi terrestri e marini degradati dell’Unione europea, misure che includono riqualificazione di habitat, aumento degli impollinatori, piantumazione di alberi e ripristino di fiumi a scorrimento libero. Sono inclusi anche gli “habitat agricoli dove va migliorata la biodiversità ed aumentata la percentuale di terreni con caratteristiche paesaggistiche ad alta diversità”. Il messaggio è chiaro e vale ovunque.
Note
(1) Il Piano Paesaggistico Regionale del FVG (2018), è un importante lavoro di ricerca, catalogazione e interpretazione dei principali paesaggi della regione, costieri e lagunari, montani e rurali, al fine di una azione strategica complessiva e unitaria nell’azione di governo del territorio. Dice il prof. Mauro Pascolini, geografo, che il paesaggio di oggi è cambiato ma è figlio del passato perché contiene i segni stratificati del passato, esiti dell’evoluzione di tecnologie e di progresso ed è insieme figlio delle scelte che noi compiamo ogni giorno. Il concetto di paesaggio non è definito solo dall’ambiente ma soprattutto dalle trasformazioni che le popolazioni generano sui loro territori e che ci permettono di osservare “quel paesaggio” e riconoscerlo come tale.
(2) Suoli e paesaggi del Friuli Venezia Giulia. 2. Province di Gorizia e Trieste, ERSA, Udine 2006. Pagg. 210 213. La Carta dei suoli è allegata al volume: http://www.ersa.fvg.it/cms/aziende/servizi/suolo/Carta-suoli.html
(3) V. Klemše, R. Petaros, A. Rupel, Goriško Ozemlje, SLORI, Gorica 1999. / Carta toponomastica di Gorizia, Società Filologica Friulana, Gorizia 2018.
Mentre nelle due pubblicazioni c’è uniformità riguardo la voce Na Livadi (l’area che va da via dei Campi a via Etna), l’estensione di terreni compresa tra la via Etna ed il confine di Stato è segnalata in modo diverso: come Campi di Salcano/Solkansko Polje in Goriško Ozemlje, come Casermette/Casermetis/Kazermete nella mappa della Filologica. Nell’articolo ho scelto la denominazione «Campi di Salcano/Solkansko Polje» perché è quella correntemente in uso tra gli abitanti del luogo, anche se «Casermette» è la più usata in generale dai goriziani.
(4) Il Pomerio. Storicamente il Comune di Gorizia confinava con quello di Salcano lungo l’attuale via Brigata Etna che conserva ancora alcuni cippi segna-confine relativi al pomerio. Solo nel 1927, con la ricostituzione della Provincia di Gorizia, Salcano venne aggregato con altri 19 comuni al territorio comunale di Gorizia (RDL, 2 gennaio 1927, n.1).
(5) Le Casermette sono edifici sorti nel 1942 come campo di prigionia militare che successivamente ospitarono i profughi istriani e dalmati. Oggi sono un complesso fatiscente invaso dalla vegetazione in attesa di riqualificazione.
(6) M. REHO (a cura di), La costruzione del paesaggio agrario. Sedimentazione di segni e nuove geometrie nella pianura friulana. Milano 2007, pag. 22-24.
(7) La fonderia Livarna Gorica è un’affiliata al 100 % del gruppo ZÜRN a Monaco di Baviera. La produzione si trova a Nova Gorica in Slovenia, prospiciente al confine italiano. La posizione geograficamente favorevole rappresenta un importante vantaggio dello stabilimento per poter servire in modo ottimale i mercati europei con l’infrastruttura logistica. Da: LIGO – Livarna Gorica
