Cos’è la Bisiacaria? La domanda, apparentemente semplice, nasconde notevoli complessità. E prima ancora bisognerebbe chiedersi cos’è il “bisiàc”. Senza addentrarci nel terreno dell’etimologia del termine “bisiàc”, bisogna necessariamente osservare che le sue prime (e sporadiche) attestazioni risalgono a metà Ottocento. Silvio Domini e Aldo Miniussi sostengono che il termine “Bisiacaria” sia stato quasi sicuramente coniato da Enrico Marcon nel corso del Novecento. Proviamo allora a fare alcune considerazioni in margine alla domanda iniziale…
Non abbiamo infatti attestazioni scritte di un uso antico dei termini “Bisiacaria” e “bisiachi” per indicare il territorio e i suoi abitanti, e non sappiamo quindi con sicurezza come essi stessi si autodefinivano. Al di là da ciò, però va rilevato che la parola “Bisiacaria” ha avuto una notevole fortuna popolare per indicare il territorio dove si parla il “bisiàc”, ovvero, secondo le indicazioni fornite anche dai redattori del primo fortunato Vocabolario del dialetto “bisiàc” (Domini, Fulizio, Miniussi, e Vittori), i comuni di Monfalcone, Turriaco, Staranzano, Ronchi dei Legionari, San Canzian d’Isonzo, Fogliano Redipuglia, San Pier d’Isonzo e Sagrado (limitatamente al capoluogo).

In passato com’era indicata quest’area? Gran parte di essa è ricaduta a lungo sotto la giurisdizione veneta del Territorio di Monfalcone, e come “Territorio” era comunemente indicata. Dal Territorio resta però escluso l’abitato di Sagrado, che in ogni caso ha sempre avuto legami profondi con i vicini paesi: pur essendo di giurisdizione arciducale esso era dipeso a lungo dalla pieve di S. Pietro e il suo passo della barca era un passaggio obbligato verso Gradisca. Dobbiamo inoltre considerare che all’epoca della dominazione veneta la lingua non era un problema politico, ovvero che era del tutto indifferente alle autorità pubbliche quale fosse la parlata dei propri sudditi. Per cui non si può tracciare una precisa equazione tra dominio veneto e parlata veneta, sia nel Monfalconese che altrove.
Si può ragionare, nel tracciare i limiti di un territorio in ragione della parlata, avere cura nel distinguere tra quella che è la lingua veicolare comune all’interno di una comunità e quella che è la lingua d’origine dei singoli (e talvolta quella usata all’interno dei nuclei familiari). Ed è anche evidente che nel corso del tempo si possono avere delle oscillazioni anche significative a questo proposito. I fenomeni migratori finiscono con l’apportare cambiamenti importanti: la ricchissima e stratificata storia della toponomastica del Monfalconese è un segnale evidente di passaggi, insediamenti, abbandoni di genti parlanti lingue molto diverse.
La Bisiacaria oggi andrebbe quindi intesa prima di tutto come il luogo dove si parla il “bisiàc”, parlata, che pur con le naturali semplificazioni e mutazioni dovute al naturale passare del tempo, è ancora per molti tratti riconoscibile e distinguibile dal triestino o da quella sorta di koinè giuliana che, questa si, oggi sembra lingua veicolare diffusa e “franca” almeno sui territori che si affacciano sulla costa nord-orientale dell’Adriatico.